La disciplina statunitense (U.C.C.) del contratto di vendita di beni mobili

di Stefano Linares · 17 maggio 2023

Tag: Commercio internazionale

Sebbene i contratti di vendita di beni mobili, sottoscritti con controparti stunitensi, siano, di regola, sottoposti alla disciplina prevista dalla Convenzione di Vienna dell’ 11 aprile 1980, sono frequenti, nella pratica, i casi, in cui il partner statunitense insista per l’applicazione della legge statunitense ed, in particolare dello Uniform Commercial Code (U.C.C.). In particolare, negli Stati Uniti la vendita di beni mobili e’ regolata dall’articolo 2 dello U.C.C.: si tratta di un compendio di leggi, emanate nel 1952, allo scopo di uniformare le normative esistenti a livello statale in materia di compravendita di merci. Attualmente, lo Uniform Commercial Code e’ in vigore in tutti i 50 Stati della Confederazione, sebbene con alcune modifiche e variazioni, introdotte dalle rispettive normative, che ne hanno recepito il contenuto a livello statale.

La definizione di “commerciante” ai sensi dello U.C.C.

Un primo elemento caratteristico della disciplina statunitense consiste nella distinzione, operata dallo Uniform Commercial Code, tra merchant (commerciante) e non-merchant (non-commerciante), tra coloro, cioe’, che possono definirsi come esperti del settore e coloro, che, al contrario, sono operatori occasionali e come tali, privi, quindi, di una particolare “accortezza”. Alla base di questa distinzione si ravvisa la volonta’ del legislatore di tutelare maggiormente chi risulta, per cosi’ dire, piu’ “sprovveduto” di chi, invece, conosce o dovrebbe conoscere molto bene le regole del gioco. Tutto cio’ si traduce ina una serie di disposizioni, che regolamentano, in maniera diversa, una stessa circostanza, a seconda che i soggetti interessati siano o meno dei commercianti. Il termine “commerciante” viene utilizzato in una duplice accezione, una piu’ ampia, l’altra, invece, piu’ specifica. Nella prima, il termine commercinte viene utilizzato per indicare tutti coloro che conoscono gli usi e le prassi di un determinato settore, indipendentemente dallo specifico lavoro svolto. Cosi’, ad esempio, puo’ essere considerato “commerciante” sia il titolare che il dipendente di un’azienda, l’addetto alle consegne o colui che lavora in banca. Questo perche’ le prassi considerate sono generiche e non richiedono alcuna specializzazione per essere conosciute, essendo sufficiente a tal fine il semplice fatto di lavorare in quel determinato settore. Nella seconda accezione, piu’ ristretta, “commerciante” e’ solo colui che ha una particolare qualificazione professionale in relazione ad un determinato bene/merce in commercio, come, ad esempio, un produttore o un rivenditore.

La forma scritta 

Ai sensi dell’articolo 2-201 dello U.C.C., il contratto di vendita di beni mobili deve essere stipulato per iscritto, quando il valore complessivo della merce oggetto del contratto e’ uguale o superiore ai $500, pena l’oppossibilita’ di ottenere l’esecuzione del contratto. La forma scritta, tuttavia, non deve riguardare l’intero contratto ma e’ sufficiente che risulti per iscritto che le parti hanno raggiunto un accordo e che vi sia la firma della parte contro la quale si intende far valere il contratto. Non occorre, pertanto, che tutti i termini essenziali del contratto siano indicati per iscritto, ad eccezione della quantita’ della merce venduta: il contratto e’, infatti, eseguibile unicamente nei limiti della quantita’ indicata o desumibile dallo scritto. Il prezzo, i termini di consegna della merce o i termini di pagamento non devono necessariamente risultare indicati per iscritto ai fini della validita’ del contratto. La mancanza della forma scritta non comporta la nullita’ del cintratto ma solo la sua annullabilita’. Cio’ significa che se la mancanza della forma scritta non viene eccepita dalle parti in tribunale, il contratto orale e’, comunque, valido.

Prima dell’entrata in vigore dello U.C.C., poteva accadere che se il venditore inviava una conferma d’ordine, nella quale venivano specificati i termini stabiliti oralmente tra le parti ed il compratore non la firmava e poi rifiutava la merce, egli poteva eccepire l’invalidita’ del contratto per non averlo confermato per iscritto. Al fine di evitare questo inconveniente, lo U.C.C. ha stabilito che, tra imprenditori (“commercianti”), se la parte, che riceve una lettera di conferma non fa obiezione entro dieci giorni, il contratto e’, comunque, valido nei suoi confronti.                                                                                                                                                              La norma, che impone la forma scritta per la vendita di merce del valore uguale o superiore a $500 non trova, tuttavia, applicazione nei seguenti casi:

  1. Quando la merce e’ stata prodotta, appositamente, per le esigenze particolari dell’acquirente e non puo’ essere venduta ad altri nel corso dell’attivita’ ordinariamente svolta dal venditore e se il venditore, prima di venire a conoscenza del rifiuto del compratore e sulla base di circostanze, che, ragionevolmente, facevano pensare che l’acquirente avrebbe confermato l’acquisto, ha iniziato a produrre o ha commissionato una parte sostanziale dell’ordine;
  2. Quando la parte, contro la quale si chiede l’esecuzione del contratto, ha ammesso in giudizio l’esistenza del contratto;
  • Quando il contratto e’ stato parzialmente eseguito, cioe’, quando le merci sono state consegnate ed accettate, oppure se il pagamento e’ stato eseguito ed accettato.

 

Revocabilita’ dell’offerta

Secondo la legge sui contratti in vigore negli Stati Uniti, le offerte sono, generalmente, revocabili prima dell’accettazione della controparte, a meno che l’offerente non si sia impegnato a mantenere ferma la propria offerta; tuttavia, cio’ puo’ avvenire solo se l’offerente ha ottenuto qualcosa (denaro o altra prestazione patrimoniale) in cambio del proprio impegno.

Tale regola non trova, invece, applicazione in relazione alle offerte di compravendita fatte per iscritto da un “commerciante” (inteso, in questo caso, nell’accezione piu’ ampia del termine). In questo caso, infatti, l’offerta rimane ferma, cioe’, irrevocabile per il periodo di tempo indicato (che non puo’, tuttavia, superare, per legge, i tre mesi) e questo anche se il “commerciante” si e’ assunto un tale impegno gratuitamente. Poiche’ l’irrevocabilita’ e’ una condizione, particolarmente, gravosa, la legge ha deciso di tutelare il “commerciante”, nel caso in cui l’obbligo di mantenere ferma l’offerta sia previsto all’interno di un modello contrattuale fornito da chi riceve l’offerta anziche’ da chi la fa. In quest’ultimo caso, infatti, la clausola relativa all’irrevocabilita’ deve essere doppiamente sottoscritta dal “commerciante”, pena la sua invalidita’ (art. 20205 U.C.C.). Qualora la promessa di irrevocabilita’ dell’offerta sia contenuta in un contratto predisposto da una sola parte, tale contratto, per essere valido, deve obbligatoriamente essere sottoscritto dalla controparte.

Accettazione con modifiche all’offerta

In linea di principio, secondo il diritto contrattuale vigente negli Stati uniti, un contratto si considera concluso solo se l’accettazione rispecchia integralmente i termini dell’offerta. In altre parole, il contratto si forma, unicamente, se le parti si sono accordate su tutto il contenuto dell’accordo. Di conseguenza, se l’accettazione contiene elementi nuovi e diversi rispetto a quelli indicati nell’offerta, siamo in presenza di una controproposta, idonea, come tale, a riaprire le trattative senza che alcun contratto possa dirsi concluso.

La disciplina contenuta nello U.C.C., invece, deroga a tale principio e stabilisce che, se l’accettazione contiene elementi nuovi rispetto all’offerta, questi ultimi sono ritenuti del tutto irrilevanti; pertanto, essi non impediscono che il contratto si concluda sul contenuto dell’offerta iniziale. Affiche’ l’accettazione contenete modifiche possa produrre effetti e valere come controproposta e’ necessario indicare, chiaramente ed espressamente, che la propria accettazione (con modifiche) e’ subordinata all’accettazione delle modifiche: in assenza di tale accettazione, nessun contratto potra’ dirsi concluso, neppure sugli elementi dell’offerta iniziale e sui quali le parti avevano gia’ trovato un accordo.

Lo U.C.C. prevede, tuttavia, un’ulteriore previsione, che trova applicazione quando le parti contraenti sono “commercianti”. In questo caso, infatti, le modifiche contenute nell’accettazione sono considerate definitive, nel senso che il contrato si conclude sulla base delle modifiche stesse, senza che sia necessaria l’espressa accetazione della controparte. Tuttavia, anche in caso si tratti di “commercianti”, la legge stabilisce che il contratto non possa dirsi concluso nei seguenti casi:

  1. i) quando le modifiche alterano sostanzialmente l’acccordo originario nel senso che il rischio econo,mico connesso all’esecuzione del contratto e sul quale le parti avevano raggiunto l’accordo viene considerevolmente alterato e sbilanciato a danno di una parte e a favore dell’altra;
  2. ii) quando l’offerta non e’ negoziabile, nel senso che essa esclude espressamente qualunque accettazione che non sia esattamente conforme ai termini e alle condizioni in essa contenute;

iii) quando l’offerente ha gia’ in precedenza escluso particolari termini o condizioni o ha provveduto, in tempo ragionevole, a rifiutare le modifiche stesse.

Con riferimento al concetto di alterazione sostanziale dell’offerta, e’ bene ricordare che spetta al giudice, in ultima istanza, decidere se una modifica e’ sostanziale o meno. Anche se in certi casi si puo’ facilmente affermare che una modifica e’ sostanziale (ad esempio, quando vengono limitate o addirittura escluse le garanzie relative al bene scambiato), in altre circostanze (come ad esempio, in caso di modifica del prezzo) cio’ non e’ cosi’ scontato. Una tale decisione dipende, infatti, da una valutazione complessa degli interessi in gioco e dal tipo di bilanciamento su cui le parti possono ragionevolmente convenire: cosi’, ad esempio, variazioni del prezzo dell’ordine di alcuni punti percentuali possono essere considerate non sostanziali, sulla base appunto del contesto in cui opera il contratto.

Termini mancanti 

I termini mancanti sono quei termini dell’accrodo che le parti non hanno provveduto ad indicare. Tale circostanza, tuttavia, non impedisce la formazione del contratto se appare chiaro che le parti erano, comunque, intenzionate a concludere l’affare e se ci sono altri elementi dai quali e’ possibile desumere ragionevolmente il contenuto dei termini mancanti (cio’ puo’ avvenire, ad esempio, in relazione al prezzo, al tempo o al luogo di consegna). Il potere del giudice americano di sopperire alle mancanze delle parti e’, generalmente, piu’ ampio di quello accordato ai giudici italiani, in quanto la legge americana non prevede particolari limitazioni all’attivita’ interpretativa del giudice, che, pertanto, rimane, estremamente, libero nell’adottare le proprie decisioni. In tali circostanze, il giudice dovra’ stabilire in primo luogo: a) come si sono regolate le parti in operazioni commercili precedenti; b) se questo non fosse di aiuto, andranno presi in esami gli usi commerciali vigenti; c) se non vi sono usi commerciali a cui rifarsi, occorrera’ prendere in esame le disposizioni contenute nello Uiform Commercial Code, applicabili al caso concreto; d) in assenza di disposizioni utilizzabili, il giudice stabilira’ che il contratto deve essere eseguito, se possibile, escludendo il termine su cui vi e’ controversia.

Considerazione a parte merita, invece, la quantita’ dei beni scambiati, intesa come elemento costitutivo del contratto.

La quantita’, infatti, deve essere certa o, comunque, determinabile in modo certo sulla base delle altre circostanze (e’ il caso, ad esempio, dei contratti di fornitura, che possono determinare la quantita’ contrattata, facendo riferimento al fabbisogno del compratore o alle capacita’ di offerta del venditore). Quindi, a differenza di altri elementi contrattuali, la mancata previsione della quantita’ di beni scambiata o l’impossibilita’ di determinarla altrimenti in modo sufficientemente accurato, impedisce la formazione del contratto, senza che il giudice possa sopperire a tale mancanza.

Trasferimento della proprieta’ e passaggio del rischio di perdita o deterioramento della merce

Obbligo fondamentale del venditore e’, ovviamente, quello di consegnare la merce venduta all’acquirente e trasferire la proprieta’ della stessa. Tale obbligo e’ espressamente previsto anche dallo U.C.C.. Non e’, invece, stabilito il momento in cui l’acquirente diventa proprietario della merce. Questo aspetto viene lasciato alla libera determinazione delle parti e alla legge applicabile, che, in molti casi, e’ quella del Paese in cui la merce si trova. In molti contratti e’ presente una clausola c.d. di “riserva di proprieta”, che prevede, espressamente, che la proprieta’ della merce non si trasferisce all’acquirente fino al momento in cui quest’ultimo non abbia provveduto al pagamento del prezzo di vendita. Si tratta di una disposizione, tuttavia, che non e’ ritenuta valida dalla legge statunitense, che non riconosce il patto di riservato dominio (il venditore non puo’, quindi, ritenere alcun titolo sulla merce venduta). Proprio per evitare il rischio di trovarsi nella condizione di non poter recuparare la merce non pagata, in quanto aggredita dai creditori dell’acquirente oppure rivenduta a terzi da quest’ultimo, l’articolo 1 dello Uniform Commercial Code introduce una forma di tutela, che consente al venditore di iscrivere una sorta di ipoteca su alcuni beni mobili di proprieta’ dell’acquirente, attraverso la stipulazione di uno specifico accordo scritto o, eventualmente, la previsione di un’apposita clausola inserita nel contratto. Tale diritto si perfeziona solo a seguito della registrazione di apposito documento presso il registro pubblico dello Stato in cui risiede l’acquirente. Tale documento deve essere sottoscritto dal venditore e contenere il nome e l’indirizzo di entrambe le parti e l’indicazione dei beni soggetti ad ipoteca.

Tra i beni, che possono essere soggetti ad ipoteca rientrano i seguenti:

  1. – i beni utilizzati dall’acquirente per consumo personale o familiare;
  2. – l’inventario;
  3. – il magazzino;
  4. – azioni, obbligazioni, assegni, cambiali e promesse di pagamento in genere;
  5. – polizze di carico ed altri documenti rappresentativi della merce per il ritiro della stessa;
  6. – crediti da parte di terzi e diritti derivanti da contratti in genere, anche se non supportati da un documento scritto;
  7. – licenze, brevetti, marchi, etc.

L’iscrizione o la registrazione dell’atto ha proprio lo scopo di rendere pubblica l’esistenza di un’ipoteca su determinati beni dell’acquirente. Tale soluzione puo’ risultare particolarmente utile anche nel caso in cui il venditore italiano abbia lasciato la merce in conto deposito presso il proprio distributore americano: in caso di eventuale fallimento del distributore, infatti, si presume che la merce in suo possesso sia anche di sua proprieta’, con la conseguenza che essa entrera’ a far parte dell’attivo fallimentare. Per scongiurare tale eventualita’ e’ opportuno, pertanto, procedere come indicato nei modi e secondo le procedure previste dalla legge.

Vale la pena sottolineare come, qualora il bene soggetto ad ipoteca venga venduto, la garanzia del creditore si trasferisce sul ricavato della vendita. Inoltre, a meno che il bene soggetto ad ipoteca non sia stato venduto nel corso del normale svolgimento di attivita’ imprenditoriale, il creditore ha diritto di riprenderlo dal nuovo acquirente.

Altrettanto importante e’ stabilire quando e chi tra le parti sia chiamato a sostenere i costi derivanti dalla perdita, dal furto, dal danneggiamento o dalla distruzione della merce oggetto del contratto. Tale rischio ricade originariamente sul venditore ma passa all’acquirente in un certo momento della transazione. E’ quindi, estremamente, importante stabilire in quale preciso momento cio’ avviene, tenendo presente che il possesso della merce non e’ di per se’ determinante per stabilire su chi ricada il rischio. Sul punto lo U.C.C. opera una distinzione: il caso in cui il venditore si impegna a spedire la merce all’acquirente (shipment contract) e quello, invece, in cui il venditore si impegna a consegnare la merce all’acquirente in un luogo determinato (destination contract). Nel primo caso, il rischio di perdita o deterioramento della merce si trasferisce all’acquirente nel momento in cui la merce viene consegnata al trasportatore per la sua spedizione. Nel secondo caso, invece, il venditore si assume il rischio legato alla sorte della merce durante il suo trasporto e fino al momento in cui la stessa viene messa a disposizione dell’acquirente nel luogo convenuto. Appare del tutto evdidente come sotto questo profilo sia preferibile per l’imprenditore italiano optare per la vendita della merce ex factory o ex works, ipotesi nelle quali il rischio passa all’acquirente quando la merce esce dalla fabbrica ed e’ consegnata allo spedizioniere. Circa i termini di consegna, se le parti non hanno, espressamente, indicato quando la merce dovra’ essere consegnata, ai sensi dello Uniform Commercial Code la consegna dovra’ avvenire entro un termine ragionevole, tenendo conto della tipologia di vendita effettuata.

Garanzie del venditore

Lo U.C.C. prevede specifiche garanzie che il venditore e’ chiamato a fornire all’acquirente in merito alla merce venduta.

Una prima garanzia e’ relativa alla titolarita’ dei diritti sulla merce da parte del venditore: l’acquirente ha, quindi, la garanzia di divenire proprietario della merce in seguito all’acquisto, proprio perche’ i diritti sulla merce gli vengono trasferiti direttamente dal soggetto che ne era precedentemente titolare. Nel caso in cui il venditore sia un “commerciante”, l’acquirente ha anche diritto alla garanzia contro la violazione dei marchi, brevetti, diritti d’autore od altri diritti appositamente tutelati dalla legge.

Vi sono poi le garanzie c.d. “espresse”, con le quali si fa riferimento al fatto che il bene venduto deve essere conforme alle promesse, alle affermazioni e alle descrizioni fornite dal venditore all’acquirente e sulle quali quest’ultimo ha fatto affidamento.

Di particolare rilevanza, dal punto di vista della prassi commerciale, sono, poi, le garanzie c.d. “implicite”. Esse comprendono:

  1. – la garanzia implicita di commercialbilita’;
  2. – la garanzia implicita di conformita’ ad un particlare scopo.

La prima garantisce la “commerciabilita’” della merce, ma tale termine deve essere inteso in un’accezione diversa e piu’ ampia rispetto a quella che si potrebbe credere. Infatti, per “commerciabilita’” della merce non si intende solamente il fatto che la merce venduta abbia le caratteristiche di legge necessarie per essere messa in commercio (ad esempio, la vendita di bevande ed alimenti al pubblico presuppone che siano rispettati tutti i requisiti igienici per la produzione e somministrazione degli alimenti). Nel concetto di “commercibilita’” rientra anche la garanzia di una qualita’ della merce comparabile con quella media, generalmente, accettata ed, in particolare, la garanzia dell’idoneita’ della merce a raggingere gli scopi ordinari per i quali viene utilizzata. Cosi’, ad esempio, se un concessionario di auto vende un’auto usata, e’ implicito che lo sterzo debba funzionare correttamente e la sua rottura durante la guida in condizioni ordinarie sia pertanto coperta da garanzia. Questo tipo di garanzia e’ importante in quanto le cause intentate contro i venditori si fondano, di solito, proprio sulla prova dell’inidoneita’ della merce all’uso ordinario.

L’altra garanzia implicita e’ l’idoneita’ della merce ad un particolare scopo. Quest’ultima prescinde dal fatto che il venditore sia o meno un “commerciante” e, pertanto, si applica a tutti i venditori indiscriminatamente. Essa ha lo scopo di garantire che la merce e’ idonea a quel particolare uso per il quale il venditore si e’ impegnato a venderla, cosi’ da tutelare l’affidamento che l’acquirente ha riposto nell’esperienza e nelle conoscenze tecniche che il venditore avrebbe dovuto possedere o ha lasciato intendere di avere. Cosi’, ad esempio, se un appassionato vende la proprio auto da rally ad un rallista, la rottura dello sterzo in condizioni di gara normali e’ coperta da garanzia (idoneita’ ad uno scopo particolare).

Ad ogni modo tutte le garanzie di cui sopra possono essere limitate o, in certi casi, addirittura, escluse attraverso espresso disconoscimento da parte del venditore. In linea generale, tale disconoscimento deve essere ragionevole, nel senso che non puo’ spingersi fino al punto di risultare in completo contrasto con le affermazioni precedentemente rese dal venditore: ad esempio, se si afferma di voler vendere un’automobile “nello stato in cui si trova” cio’ non significa che tale automobile possa essere priva del motore o dell’impianto frenante.

Cio’ detto, esistono due metodi di esclusione delle garanzie implicite: uno specifico ed uno generico.

Il primo, assicura al venditore che la sua esclusione sara’ valida ed efficace e al di sopra di ogni possibile contestazione. Essa deve avvenire per iscritto ed in modo cospicuo, ossia utilizzando caratteri in grassetto o maiuscoli o, comunque, di un colore diverso e ben visibile rispetto al resto del testo; nel caso, poi, di garanzia di commerciabilita’, il termine “commerciabilita’” deve essere, espressamente, richiamato.

Il secondo metodo (generico) si puo’ utilizzare in vari modi ed, in generale, non fornisce le stesse garanzie di validita’ ed efficacia del primo, in considerazione della minor chiarezza nel precisare i limiti ed i contenuti della esclusione. La sua reale portata risente, quindi, maggiormente della situazione di fatto che si e’ venuta a creare. Ad esempio, l’esclusione puo’ avvenire attraverso l’utilizzazione di formule generiche quali “cosi’ com’e’” (nello stato in cui si trova), ma anche l’avvenuta ispezione della merce da parte dell’acquirente nei modi e nei tempi di suo piacimento (senza che sia stata sollevata contestazione alcuna) od il rifiuto di ispezionare la merce possono valere come disconoscimento delle garanzie implicite. Allo stesso modo, e’ bene ricordare che le circostanze di fatto, che caratterizzano la fase antecedente (negoziazione) e successiva (esecuzione) alla stipulazione del contratto, nonche’ gli usi e le consuetudini commerciali possono influire sulla portata delle garanzie implicite.

Per concludere sul tema, quindi, lo Uniform Commercial Code fissa diversi limiti, soprattutto, di forma,  alla facolta’ del venditore di imporre all’acquirente clausole di esonero o limitazione di responsabilita’. Inoltre, in caso di difficolta’ di interpretazione e/o di incompatibilita’ tra una garanzia esplicita e una clasusola di esclusione o limitazione della responsabilita’, la garanzia sara’ ritenuta prevalente e, conseguentemente, la responsabilita’ non sara’ soggetta a quelle limitazioni, che si intendevano stabilire. Ulteriori limiti piu’ stringeneti possono, poi, essere previsti dalle singole normative statali, in particolare, quando si tratti di vendite ai consumatori.

Contestazione dei difetti

A differenza di quanto previsto dal codice civile italiano, ai sensi del quale il termine per contestare eventuali vizi della merce e’ stabilito in 8 giorni, rispettivamente, dalla data di consegna della stessa o dalla scoperta del difetto, a seconda che si tratti di difetti riscontrabili alla consegna oppure “vizi occulti”, lo Uniform Commercial Code consente all’acquirente di contestare al venditore eventuali difetti della merce entro un “termine ragionevole” dalla loro scoperta.

Questo criterio, ispirato da comprensibili ragioni di equilibrio tra le posizioni del venditore e quelle dell’acquirente, non fornisce, tuttavia, sufficiente chiarezza circa i diritti e gli obblighi delle parti e puo’, quindi, essere fonte di controversie. Il concetto di “ragionevolezza” del termine per proporre reclamo, essendo, tuttavia, soggetto ad una valutazione caso per caso, richiede con frequenza una valutazione da parte del giudice di tutte le circostanze del caso concreto, con particolare riferimento alla tipologia della merce.

La giurisprudenza internazionale propende per un esame immediato della merce da parte dell’acquirente anche tramite controlli a campione prima della definitiva rivendita o trasformazione della stessa, con la conseguenza di far decorrere il termine ragionevole dal momento della consegna e di considerare tardiva una denuncia effettuata oltre una decina di giorni dalla stessa. Alcune sentenze hanno ritenuto ammissibile anche un termine superiore ad un mese dalla data di consegna, nei casi in cui il vizio fosse riscontrabile solo dopo specifici accertamenti e cio’, in particolare, nel campo dei macchinari. In genere, comunque, i termini per la denuncia sono valutati in modo molto restrittivo dalla giurisprudenza internazionale.

L’onere di provare di aver effettuato una tempestiva denuncia, inoltre, grava sull’acquirente.

I tribunali americani, che si sono pronunciati in merito a contratti di comravendita disciplinati dallo U.C.C., si sono dimostrati meno restrittivi nell’interpretare il concetto di “termine ragionevole”, riconoscendo all’acquirente un termine decisamente pui’ ampio per ispezionare la merce e contestare la presenza di eventuali difetti al venditore, che deve essere valutato alla luce della natura e delle circostanze del caso concreto.

Un suggerimento che vale la pena indicare, in proposito, e’ quello di predisporre apposita clausola nel contratto di vendita, contenete la previsione di un termine espresso per l’eventuale contestazione dei difetti da parte dell’acquirente, scaduto il quale la merce si intende accettata. Il termine puo’ essere fatto decorrere dal momento della consegna della merce o dalla effettiva scoperta del difetto. Una clausola del genere e’, di norma, valida sia ai sensi dello Uniform Commercial Code sia della Convenzione di Vienna.

Rimedi in caso di inadempimento                                                                                                               

Negli Stati Uniti, lo Uniform Commercial Code prevede una serie di opzioni a disposizione, rispettivamente, del venditore e dell’acquirente nei casi di inadempimento della controparte.

Qualora il venditore si rifiuti di consegnare la merce convenuta o l’acquirente la rifiuti in quanto non conforme a quella ordinata, quest’ultimo potra’ richiedre la risoluzione del contratto, con la restituzione dei pagamenti effettuati ed, eventualmente, anche il risarcimento dell’eventuale danno subito. I danni risarcibili potranno comprendere sia gli incidental damages (cioe’, le spese ragionevolmente sostenute in vista del contratto, quali, ad esempio, quelle legate all’ispezione della merce o al trasporto e al magazzino), sia i consequential damages (ad esempio, quelli derivanti dalla pardita di clientela o per i danni causati a persone o cose in seguito a difetti della merce).

All’acquirente  e’ consentito revocare l’avvenuta accettazione della merce, qualora scopra (e denunci al venditore entro un tempo ragionevole) eventuali vizi occulti.

Vale la pena sottolineare che, negli Stati Uniti, l’acquirente, oltre a potersi rifiutare di pagare il prezzo, ha anche il diritto di acquistare merce sostitutivas da terzi e chiedere poi un indennizzo al venditore pari alla differenza tra il prezzo pagato per tale merce e quello convenuto nel contratto, oppure pari alla differenza tra il prezzo di mercato della merce e il prezzo contrattuale.

Qualora l’acquirente si rifiuti, senza giustificato motivo, di prendere in consegna la merce o di accettarla, il venditore ha, tuttavia, diritto al risarcimento del danno nella misura pari alla differenza tra il prezzo pattuito nel contratto e quello di rivendita della merce (oppure tra il prezzo pattuito nel contratto e quello di mercato). In alternativa, il venditore puo’ citare in giudizio l’acquirente per il pagamento del prezzo, nel caso in cui non riesca a rivendere la merce ad un prezzo ragionevole: in tal caso, il venditore deve tenere la merce a disposizione della controparte.

Interessi per mancato pagamento della merce

Mentre ai sensi dell’articolo 78 della Convenzione di Vienna e’, espressamente, riconosciuto il diritto del venditore di ottenere gli interessi per il mancato pagamento del prezzo della merce venduta senza che venga, tuttavia, precisata la misura di tali interessi ne’ le modalita’ per il loro calcolo, negli Stati Uniti, sono, invece, i singoli Stati della Confederazione a stabilire, in maniera autonoma, la misura degli eventuali interessi. In alcuni Stati, come ad esempio, New York, California e Texas, si e’ optato per l’applicazione di un tasso fisso, in altri, invece, tra cui la Florida, il Delaware e il Nevada, si preferisce un tasso variabile collegato ad un parametro ufficiale.

In caso di contratto di vendita stipulato tra un venditore italiano ed un acquirente statunitense, il suggerimento e’ quello di concordare anticipatamente nel contratto sia l’obbligo dell’acquirente di pagare gli interessi in caso di ritardato pagamento sia il tasso che verra’ applicato. In mancanza di tale accordo, qualora il venditore proceda per vie legali per il recupero del proprio credito derivante dal mancato pagamento del prezzo, l’autorita’ investita della controversia, applicando la Convenzione sara’ chiamata a condannare l’acquirente al pagamento degli interessi: secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, gli interessi verranno stabiliti secondo il tasso in vigore nello Stato in cui ha sede il venditore. 

Termini di prescrizione 

In caso di inadempimento contrattuale, la relativa azione giudiziaria deve essere esercitata dalla parte non inadempiente entro un determinato periodo di tempo, che, di regola, decorre dal giorno in cui si e’ verificato l’adempimento.

La convenzione di Vienna non prevede alcun termine di prescrizione. Non esiste, pertanto, un termine specifico entro il quale, ad esempio, il venditore, e’ tenuto ad agire per recuperare il proprio credito nei confronti dell’acquirente, che risiede in uno Stato firmatario della Convenzione.

In Italia, il termine di prescrizione e’ di 10 anni (articolo 2946 codice civile), che decorre dalla data in cui il termine di pagamento concordato tra le parti e’ scaduto.

Negli Stati Uniti, lo Uniform Commercial Code fissa un termine generale di 4 anni per le azioni legali promosse allo scopo di far valere una violazione contrattuale. Alcuni Stati, tuttavia, hanno adottato un termine diverso. In particolare, Arizona, Massachusettes, Nevada e Washington hanno previsto un termine di 6 anni, Colorado di 3 anni, Florida di 5 anni e Lousiana di 10 anni.                                         

Il suggerimento, anche in questo caso, e’ quello di prevedere nel contratto di vendita con controparte statunitense una clausola, che stabilisca con certezza un termine di prescrizione per le eventuali azioni derivanti dall’inadempimento del contratto.

 

Stefano Linares

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